Prof. +Spalato Signorelli, Stefano Tolomelli Medicina Interna - Ospedale S. Sebastiano - CorreggioRiassunto
Nel 1707 moriva, a soli trentanove anni, Giorgio Baglivi, Medico Raguseo e Leccese, massimo allievo del Malpighi, archiatra pontificio con Innocenzo XII ed il successore Clemente XI, professore di Medicina all’Università La Sapienza.
Di radici Ippocratiche e Jatromeccanico sulla scia di Cartesio e Galileo, ottimo clinico paragonato al Sydenham, raccomandò l’osservazione compiuta al letto del paziente, l’ordinata, precisa e completa raccolta dei dati obiettivi e la loro successiva valutazione con la ragione.Le sue opere principali sono la De Praxi Medica ed il successivo Specimen quatuor librorum de fibra motrice et morbosa dove espone il suo programma di fisiopatologia solidista che richiama l’antica Scuola Metodica di Asclepiade di Bitinia.
La sua Patologia “fibrillare” precede quella che sarà in futuro la Patologia “tissulare” di Bichat e poi quella “cellulare” di Virchow. Sostenitore della necessaria coniugazione di Medicina Pratica e Sperimentale si interessò, forte delle esperienze microscopiche del Maestro e sue personali, della patogenesi delCatarrhus Suffocativus di cui descrisse per primo l’origine circolatoria prefigurando il quadro che oggi definiamo quale edema polmonare da scompenso cardiaco.
Fu ancora il primo ad ascrivere a questo ambito la spuma oris ed a parlare dei rapporti tra diuresi, edemi e dispnea. Con queste premesse inserire il nome di Giorgio Baglivi nella lunga storia dello scompenso cardiaco è anzitutto doveroso.The long history of heart failure. Facts and characters: Giorgio Baglivi
Summary
Giorgio Baglivi died young in 1707, at the age of 39. Born in the Republic of Ragusa (now Dubrovnik in southern Croatia) and raised in Lecce, he was Marcello Malpighi’s most brilliant student. After moving to Rome, he was appointed physician to Popes Innocent XII and then Clement XI, and professor of medicine at La Sapienza University.
A follower of the Hippocratic school, he was considered the main representative of iatromechanics in the tracks of Cartesius and Galileo and became an excellent clinician on a par to Sydenham. He strongly recommended that every good physician should carefully examine patients at their bedside, accurately collect data derived from observation and then assess them through reasoning. His main works are De Praxi Medica (The Practice of Medicine) and the later Specimen quatuor librorum de fibra motrice et morbosa (On the Nature and Disorder of Motor Fibre), where he expounded his solidist views of pathohysiology based on the ancient Methodical School of Medicine founded by Asclepiades of Bithynia. His “fibrillar” pathology theories paved the way for Bichat’s “tissular” pathology and Virchow’s “cellular” pathology.
An advocate of the need to combine practical and experimental medicine, building on Malpighi’s and his own experiences with microscope analysis, he developed an interest in the pathogenesis of suffocating catarrh, of which he first described the circulatory origin in his work Catarrhus Suffocativus, thus anticipating the condition that we currently know as pulmonary oedema secondary to heart failure. He was also the first to recognize spuma oris, or frothy sputum, as a symptom of this disease and to describe the relation between diuresis, oedema and dyspnoea. Judging from his illustrious biography, Giorgio Baglivi certainly deserves a place of his own in the long history of heart failure.Fig. 1 – Giorgio Baglivi (1668 – 1707)Abbiamo già avuto modo di ricordare in queste pagine il 350° anniversario della morte di William Harvey (30 Giugno 1657). Riteniamo però che lo stesso 2007 debba essere richiamato anche per rievocare i 300 anni dalla scomparsa, in età ancora assai giovane, di un eminente clinico e ricercatore: Giorgio Baglivi (17 Giugno 1707).Nel suo ricchissimo “The concept of Heart Failure. From Avicenna to Albertini.”, Saul Jarcho scrive: “To Baglivi we owe early descriptions of myocardial insufficiency and pulmonary edema”. Un’interpretazione odierna delle conclusioni di allora (1). Ed allo Studioso dedica molte pagine accanto ad altre Figure di rilievo.
Baglivi… “Carneade! Chi era costui? – ruminava tra sé Don Abbondio…” (2). Un interrogativo dubitativo che ci sorge, giustificato dal fatto che un tale cognome di clinico-ricercatore non suona ricorrente negli studi della facoltà di medicina.
Giorgio Baglivi nacque a Ragusa (Dubrovnik) l’8 Settembre 1668 alle ore 12. A quell’epoca, a Dubrovnik le ore si contavano cominciando con il calare del sole e pertanto le ore 12 corrispondevano all’alba (3). I Genitori erano Biagio Armeno e Maria Lupi, piccoli commercianti di una repubblica che aveva raggiunto allora l’apice della sua potenza: quattrocento navi di alto bordo portavano il vessillo bianco di San Biagio (4). All’età di poco più di due anni Giorgio rimase orfano della madre e poco dopo anche del padre. Assieme al fratello Giacomo, nato nel 1670, andò a vivere in casa di uno zio che poi morì nel 1679: padre e zio lasciarono più debiti che averi. Maria Dragisich, una contadina già a servizio dallo zio, si occupò di loro, ma fortunatamente un religioso che si era reso conto delle doti dei due fratelli li fece studiare presso il Collegio dei Gesuiti di Ragusa (5).
Proprio allora, un anziano medico di Lecce, Pierangelo Baglivi, benestante e senza famiglia, si rivolse allo zio, Prefetto del Collegio dei Gesuiti di Lecce, perché gli trovasse un giovane dotato della cui istruzione farsi carico. Fu così che Giorgio, ed anche Giacomo, furono adottati dal vecchio medico del quale assunsero il cognome, Baglivi, al posto del proprio, Armeno.
Trasferitosi a Lecce, Giorgio si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Napoli (1684) dove poi si laureò (o a Salerno?). Successivamente frequentò le più celebri Università italiane, fermandosi infine a Bologna attrattovi dalla personalità e dall’insegnamento di Marcello Malpighi del quale diventò il più autorevole allievo.
Fig. 2 – Frontespizio dell’Opera di Ippocrate di Cos
Da queste frequentazioni maturò non poche critiche alla didattica di allora anche per i medici pratici. Intanto lasciò scritto che, quali regole generali secondo il dettame di Ippocrate: “In medico esse debet pecuniae contemtus, pudor, modestia in vestitu, judicium, lenitas, urbanitas, mundities, recta elocutio, superstitionis odium et praestantia summa.” (6).
Nell’autunno del 1691 Malpighi lascia Bologna e si stabilisce a Roma invitato da Papa Innocenzo XII. Nell’Aprile del 1692 il Baglivi lo raggiunge ed il Maestro lo ospita al Quirinale, sede del Papato.
La formazione culturale e dottrinaria del Baglivi è di stampo galileiano. Nel ‘600 il nuovo mondo scientifico si regge sul tripode cartesiano, baconiano e galileiano (7). Renato Cartesio, medico e filosofo (1596 – 1650), sostiene il dubbio sistematico su tutto ciò che si percepisce (che per Aristotele era la verità) cui invece deve seguire il ragionamento che è la vera fonte della conoscenza. Egli sviluppò un’affermazione di S. Agostino il quale aveva svolto un concetto platonico: nulla è più presente al nostro pensiero che il pensiero stesso: Cogito ergo sum. La sua filosofia fu chiamata Razionalismo. L’allora recente trionfo della dottrina copernicana provava la superiorità della concezione matematica (8). Il mondo è formato da corpuscoli i cui movimenti determinano forma e grandezza dell’esistente. Di tali movimenti la fonte prima è l’anima, che sintetizza la sostanza pensante e che esplica la sua azione sull’organismo attraverso i nervi. Il movimento è dunque la base fondamentale di ogni attività vitale e biologica e quindi il mondo è retto dalle leggi della meccanica.
Francesco Bacone da Verulamio (1561 – 1626) dà molta importanza alla sensazione e basa ogni sua asserzione sull’esperienza accompagnata dal ragionamento che la orienta verso idee sempre più generali. Il metodo scientifico consiste nell’induzione (dal particolare all’universale) e non nella deduzione (dal generale al particolare) come per primo affermò Aristotele.
Galileo Galilei (1564 – 1642) aggiunse poi il Metodo sperimentale, di cui fu il primo a porre le fondamenta. Egli non si accontenta di scoprire le ragioni di un fatto ed i motivi che lo determinano: vuole cercare la legge esatta e matematica che regola i fenomeni. Applicò ad alcune funzioni vitali le leggi meccaniche del mondo inorganico (9) e poiché, sosteneva, la natura è scritta in lettere matematiche, in qualunque campo, osservato un fenomeno, occorreva cercare di riprodurlo per poterlo studiare. Era questa la Scuola Jatrofisica o Jatromeccanica che poi Giorgio Baglivi portò al massimo sviluppo. Secondo tale indirizzo tutti i fenomeni vitali sono dei puri fatti meccanici.
Il primo al quale far risalire una ipotesi jatromeccanica fu Leonardo da Vinci (1452 – 1519) (10), ma toccò poi a G.A.Borelli (1608 – 1679), col suo De Motu Animalium, spiegare con le leggi della meccanica i fatti più importanti della vita animale. Allievo di Galileo, fu Maestro del Malpighi. A tradurre comunque nei fatti lo sperimentalismo galileiano, applicando allo studio dell’uomo il metodo matematico, fu Santorio Santorio, di Capodistria (1561 – 1636) coi suoi studi, mediante le pesate, della perspiratio insensibilis.
Nasce così il metodo sperimentale in medicina.
In quel periodo comunque si contrapponeva a tale indirizzo la Scuola Jatrochimica. Qualunque fenomeno biologico si basava su fenomeni chimici: essa si riallacciava alla concezione paracelsiana dei fenomeni vitali. Paracelso (1493 – 1541) definiva la natura come il Macrocosmo la cui parte egregia è l’Uomo (Microcosmo) formato delle stesse sostanze e dominato dalle medesime leggi, l’uno con l’altro in vicendevoli rapporti.
Oltre ai quattro elementi aristotelici (Aria, Acqua, Terra, Fuoco) Paracelso introdusse i tria prima (Sale, Zolfo e Mercurio) (11), presenti in tutti gli esseri viventi e nel caos primordiale (quello precedente il “Fiat Lux”). La Creazione dunque poteva essere paragonata al lavoro di un Chimico.
Della jatrochimica G.B. Van Helmont (1577 – 1644) fu l’ispiratore, ma il fondatore fu F. de la Boe, Sylvius in latino (1614 – 1672). Uno degli aforismi di questo indirizzo fu: “Le più essenziali trasformazioni organiche sono processi chimici.” Gli organi del corpo operano chimicamente; in contrasto con l’altra Scuola: gli organi del corpo operano meccanicamente.
La vecchia teoria galenica degli umori (Sangue, Flegma, Bile gialla e Bile nera) che per mille e trecento anni era stata il fondamento della medicina, diretta filiazione del pensiero ippocratico prima e di quello italico poi, è ormai al capolinea. Già per gli jatrochimici essa non era più il punto principale di riferimento, ma poi la metodologia cartesiana e più ancora quella galileiana avevano favorito interpretazioni meccanicistiche fisiologiche e patologiche (12). Da queste premesse, attraverso, come già detto, il Borelli, il Bellini e l’anatomia microscopica del Malpighi si giunge infine al Baglivi. Il solidismo meccanicista degli jatrofisici ha la meglio: esso chiarisce correttamente un maggior numero di fenomeni e tende a spiegare tutti i fatti biologici attraverso l’azione di minuscole strutture meccaniche.
Occorre comunque precisare che il suo interesse per le manifestazioni chimiche concomitanti a quelle meccaniche lo porta ad una visione più completa degli avvenimenti patologici.
Nell’estate del 1694 Malpighi è colpito da un ictus che lo lascia emiplegico; muore poi alla fine dello stesso anno dopo un secondo episodio. Il Baglivi, per espresso desiderio del maestro, fece poi la dissezione del cadavere che successivamente descrisse: “Historia morbi et sectionis cadaveris Marcelli Malpighi archiatri pontific.” (13). Un testo di alto valore scientifico che permise di stabilire il preciso rapporto tra la localizzazione dell’emorragia e quella controlaterale della paralisi. Come riconosciuto poi anche dal Morgagni, lo studioso leccese fu tra i primi a sostenere tale rapporto.
Nel 1695, il Baglivi dà alle stampe il suo primo testo scientifico: “Dissertatio de tarantula” a commento del tarantolismo una malattia frequente in Puglia, della quale distingue una intossicazione reale da morso del ragno ed una simulata di carattere isterico (14).
Fig. 3 – Il tarantolismo, molto diffuso in Puglia, fu l’argomento del primo testo scientifico di Baglivi
Alla morte del Malpighi, Papa Innocenzo XII lo trattiene a Roma e dopo regolare concorso pubblico, con dodici candidati, il Baglivi diventa titolare dell’Insegnamento di Anatomia e Chirurgia all’Università della Sapienza nel 1696. Anche per giustificare tanto onore l’Autore pubblica il suo De Praxi Medica. L’opera è anche la definizione dei compiti di una nuova arte medica. Ai medici chiede soprattutto la prudenza ed inizia così la prefazione: “Prudentia judicandi recte de morbis gravissima res est …”.
Fig. 4 – Frontespizio del “De Praxi Medica” di Giorgio Baglivi
Emerge un preciso orientamento metodologico ispirato soprattutto a Bacone ed al suo peculiare empirismo. Distingue una medicina pratica ed una teorica. Per il medico pratico rivendica il primato dell’osservazione al letto del paziente, secondo gli insegnamenti di Ippocrate e del Sydenham (1624 – 1689), alla quale si farà seguire la deduzione logica secondo la ragione.
Il Baglivi, jatromeccanico, di netta tendenza ippocratica, fu un ottimo clinico, tanto da essere paragonato al Sydenham. Con la medicina teorica legittimò l’indagine sperimentale, nel cui ambito aprì anche una nuova via alla ricerca contribuendo ad introdurre la sperimentazione animale.
Alla fine del 1700 muore Innocenzo XII, ma Clemente XI che gli subentra, apprezza il Baglivi e gli affida la cattedra di Medicina Teorica. In quell’anno il Raguseo pubblica lo “Specimen quatuor librorum de Fibra Motrice et Morbosa” che annuncia il suo programma di fisiopatologia solidista (15).
Fig. 5 – Edizione del 1704 dell’Opera Omnia di Giorgio Baglivi
Il Solidismo, (in questo caso il ‘Nuovo Solidismo’), discende da Asclepiade di Bitinia (I sec. a.C.) dagli eredi del quale sarebbe poi originata la Scuola Metodica, la più brillante dell’epoca imperiale di Roma (16). Secondo la sua dottrina tutte le malattie sono secondarie ad alterazioni delle parti solide del corpo, mentre i liquidi di questo giocano solamente un ruolo passivo. I Metodici concepiscono l’esistenza di due stati principali: quello di rilassamento e quello di tensione cui aggiunsero poi la comunità mista, in parte prodotto intellettuale.
Nel suo programma Baglivi sostenne che quasi tutti i fenomeni fisiologici e patologici erano da ricondursi alla struttura ed ai moti delle parti solide del corpo umano la cui unità elementare era la fibra. Queste si differenziavano in fibre carnee cioè motrici, contrattili, costituenti la massa muscolare (che distinse in muscoli lisci e striati) ed in fibre membranacee che formavano i vasi, i visceri ed i tendini e con il loro moto oscillatorio fungevano da vie della sensibilità. L’organo propulsore delle prime era il cuore con il flusso di sangue; quello delle seconde era la dura madre dotata anch’essa di una sistole e di una diastole che producevano il moto del fluido nervoso nei canali dei nervi che si propagava a tutte le parti solide a loro sottoposte (17). Naturalmente questa funzione riconosciuta alla dura madre fu un grosso errore del Baglivi, ma grazie ai suoi studi le proprietà della fibra, e soprattutto la sua capacità di contrazione, diventavano la base della fisiologia e della patologia.
Le malattie acute erano dovute ad un eccesso di tensione delle fibre, quelle croniche ad una loro estrema lassitudine: come già aveva detto a suo tempo la Scuola Metodica. Il pensiero del nostro Autore ebbe risonanza europea. (Ricordiamo che il latino era la lingua di qualunque studioso.) Fino alla seconda metà del ‘700 si attribuiva la vita solo all’organismo nel suo insieme, Baglivi è uno dei primi a sostenere che la vita ha sede nelle parti del corpo. Per lui l’elemento vitale primario è la fibra motrice: la sua patologia ‘fibrillare’ precede di un secolo quella ‘tissulare’ di Bichat che a sua volta apre la via alla patologia ‘cellulare’ di Virchow (18)
Nel 1704 pubblica il suo Canones de medicina solidorum ad rectum Statices usum. La prima edizione appare in appendice al De Statica medicina del Santorio. Tali Canoni riprendono le linee salienti del De fibra motrice et morbosa e recuperano lo spazio dei rapporti tra l’uomo e l’ambiente dominato dall’analogia e non trattato in precedenza. Svolge così il capitolo “De Morborum et Naturae Analogismo”, e più oltre la Dissertazione: “In qua plura examinantur, quae pertinent ad vegetationem lapidum, et analogismum circulationis maris per viscera terrae, ad circulationem sanguinis per viscera microcosmi”. Dove ai quattro diversi moti del mare diretti a mantenere perpetua la circolazione delle acque corrispondono altrettanti quattro moti del sangue che dal cuore va ai tessuti ed al cuore ritorna. La natura procede dunque in modo analogico tra macrocosmo e microcosmo (19).
Il suo solidismo meccanicista non ha però impedito al Balivi, come già dicemmo, di valutare attentamente anche l’importanza dei liquidi pur se non più nella loro antica accezione galenica. Il Canone XI recita: “Chi avrà un’esatta conoscenza dell’equilibrio tra i solidi che pulsano ed i liquidi che scorrono, saprà anche curare correttamente la maggior parte delle malattie.” La recente scoperta di Harvey e le esperienze del Santorio, cui si richiama nel Canone X, si facevano sentire.
Già il suo Maestro Malpighi però, aderente alla scuola jatromeccanica avendo seguito gli insegnamenti di Borelli prima e poi di Galileo, professava una stretta combinazione di concetti jatrochimici e jatrofisici (20).
Sullo sviluppo delle ricerche (e delle idee) del Baglivi, fu fondamentale l’anatomia microscopica inaugurata e sviluppata dal Malpighi: essa si sforzava di dimostrare visivamente l’assunto degli jatromeccanici, essere cioè il corpo umano costituito da tante minuscole macchine [che sarebbero poi state, vedasi Virchow, le cellule]. Decisiva fu la dimostrazione del tessuto polmonare: bronchioli, alveoli (per dirla con termini a noi familiari) circondati questi da una fitta rete anastomotica di piccolissimi vasi.
Da un lato, come sappiamo, furono queste le indagini che consentirono il completamento della Exercitatio anatomica di Harvey dimostrando l’esistenza dei capillari che congiungono arteriole e venule e dall’altro fornirono al Malpighi stesso e Successori il terreno ed i mezzi per ulteriori investigazioni.
Il Malpighi praticò l’arte medica ma non pubblicò alcuno studio clinico. Fortunatamente i suoi Consulti sono giunti fino a noi e così possiamo leggere la spiegazione della ‘Dispnea’ presente in alcuni casi. Essa veniva giustificata con un impedimento al passaggio del sangue attraverso i polmoni per una ritardata circolazione nei vasi più piccoli che trovavano un ostacolo al loro svuotamento nel cuore. I polmoni manifestavano per questo un ingorgo con un aumento di peso e volume, il che causava la dispnea. L’affermazione più notevole è l’idea che l’edema rappresenti un impedimento tra l’afflusso arterioso ed il ritorno venoso. A questa conclusione il Malpighi era arrivato anche grazie agli esperimenti condotti con C. Fracassati (1630 – 1672), fisico ed anatomico bolognese: legatura delle vene polmonari nelle cavie, iniezione nell’arteria polmonare di acqua o altri liquidi. Tale deduzione rappresenta (1681) il reale inizio dell’odierno concetto di insufficienza cardiaca congestizia. Va segnalato però che della componente cardiaca il Malpighi non parla affatto (21).
Il Baglivi nel Liber Primus di una delle edizioni della sua Opera Omnia nel CapitoloDe Raris Pulmonum Affectionibus, dopo aver trattato della Polmonite con letargia, prende in considerazione il Catarrhus Suffocativus, definizione coniata nel 1554 da Jean Fernel (1507 – 1558) per un concetto già precedentemente noto. Avicenna, che si rifà ad Ippocrate e Galeno, ci parlava di suffocatio perniciosa, altri termini equivalenti sono stati quelli di catarrhus suffocans e catarrhus praefocans. Giulio Cesare Claudino (m. 1618), nel suo De Catarrho Tractatus parla di Catarrhus Praefocativus (22).
Fig. 6 – Giulio Cesare Claudino contribuisce agli studi dell’epoca con il suo “De Catarrho Tractatus”
Scrive il Baglivi: “Sequitur porrò periculosus Pulmonum morbus, qui dicitur catarrhus suffocativus. (23)
Fig. 7 – La pagina del Baglivi in cui si tratta del “catarrhus suffocativus”
Ricordiamo che il termine ‘catarro’ (dal greco kata-rreo: scorro giù) era stato adottato fin dall’antichità greco-romana. Ad esempio, Celio Aureliano (V sec. d.C.) nel suo De Morbis Acutis & Chronicis Libri VIII, nel Libro II delle Malattie Croniche, titola così il Capitolo VII: “De influxione, quam Graeci katàrroon vocant” (24)Fig. 8 – Celio Aureliano (V sec. d.C.) descrive la “influxione” paragonandola al katàrroon dei greci
Il vocabolo era la traduzione letterale del concetto fisiopatologico, che resse fino al Rinascimento, secondo il quale il catarro altro non era che flegma o comunque materiale da eliminare che il cervello scaricava giù in gola, nel collo o nel torace.
Uno dei più importanti contributi del Baglivi è appunto questo sul Catarrhus Suffocativus. Forte della recente scoperta Harveyana della circolazione del sangue ed arricchito dalle ricerche del Malpighi, di cui era il più stretto collaboratore, nonché dalle proprie personali indagini sperimentali, egli concluse che questo quadro clinico era provocato dal ristagno di sangue e dalla sua rapida coagulazione nei polmoni ed attorno al precordio. Se il ristagno nei capillari polmonari era il frutto dagli esperimenti suoi e del Malpighi sul circolo polmonare, la coagulazione non era altro che una constatazione frutto delle autopsie, cioè un avvenimento post-mortem. Occorre precisare che nella patogenesi in sé e per sé il cuore non è menzionato, né il Baglivi spiega perché il sangue ristagni. La sua giustificazione del Catarrhus Suffocativus era limitata alla circolazione polmonare. Il rimedio principe era il salasso (“Praesentaneum remedium huius morbi in paroxysmo est repetita sanguinis missio.”), oltre a medicinali varii: dall’issopo, al liquore di corna di cervo fino alla scilla.
Fig. 9 – Il salasso (opera di A. Brouwer, 1605-1638) costituiva il rimedio principale anche per il catarro
La sintomatologia del quadro è così descritta: “In hoc catarro adest gravedo et dolor pectoris, spirandi difficultas, vox amputata, anxietas, tussis, stertor, pulsus rarus, tardus, spuma ex ore etc. … Spuma oris fit ex impedito circuitu sanguinis circa pulmones …” (25). Il polso irregolare veniva segnalato come frequente nelle malattie polmonari importanti, ma nessun rapporto causale era descritto. Circa laspuma oris il Baglivi è stato il primo ad attribuirla ad una ostacolata circolazione polmonare. Essa era ben nota fin da Ippocrate, soprattutto come segno di morte imminente: “… XLIII. Ex his qui strangulantur, & submergunt, nondum autem mortui sunt, non reconvalescunt quibus spuma circa os fuerit.”(26).
La spuma alla bocca, assieme agli altri sintomi sopraelencati, rendono la diagnosi di edema polmonare, quale noi oggi la intendiamo, praticamente irrefutabile.
Come già dicemmo col Malpighi, il ristagno di sangue a livello dei capillari polmonari provocava un edema dei polmoni con difficoltà alla loro aerazione e conseguente dispnea. Baglivi usa spesso il termine ‘asma’ là dove noi parliamo di dispnea. Già Luca Tozzi (1638 – 1717) distingueva tre gradi di difficoltà respiratoria: più leggera (dispnea), più marcata (asma), ancora più grave (ortopnea). Un caso paradigmatico di Ortopnea notturna, o Dispnea Parossistica notturna, viene poi descritto dal Baglivi sia pure senza alcun richiamo a possibili cause cardiache: “Si quis vesperi, hora somni, sed precipue post tres aut quatuor horas somno impensas …”(27).
Un’altra importantissima precisazione è quella dell’Autore Raguseo con la quale cancella definitivamente l’antica ipotesi del flegma espulso dal cervello: “Oritur itaque hic Catarrhus à repentina stagnatione sanguinis circa cor et pulmones, non verò à pituita depluente à capite, …”(28). Prima di lui Conrad Victor Schneider (1614 – 1680) nella sua opera sul catarro aveva contestato tale conclusione e successivamente anche Richard Lower (1631 – 1691) aveva fatto altrettanto: “Et siquidem pluribus experimentis certo mihi constet nihil catarrhi à cerebro in partes inferiores ullas descendere, …” (29).
Fig. 10 – Lower sostiene sperimentalmente che il catarro non ha origine dal cervello
La descrizione del catarrhus suffocativus fatta dal Baglivi non è molto diversa da quella del Lancisi (1654 – 1720) che nel suo De Subitaneis mortibus (1707) scrive: “ … Si ha la morte se viene impedito il flusso dell’aria ai polmoni: … o per improvvisa idrope dei polmoni … “ (30).
Sempre nel De Praxi Medica nei capitoli dedicati alla ‘dispnea – asma’, come sopra intese, possiamo leggere: “Asthmaticis dysuria superveniens, bonum; cessante derepente disuria, denuo asthmate corripiuntur.” (31). Così espresso il termineDysuria non appare accettabile: è piuttosto da pensare che Baglivi abbia inteso parlare di Diuresis: se essa cessa repentinamente la dispnea ritorna e viceversa. La stessa cosa vale per l’osservazione successiva: se le gambe si gonfiano la dispnea si arresta (o diminuisce); ed anche per l’altra constatazione: se compare oliguria, si manifestano gli edemi.
Fig. 10 – Francobollo commemorativo della Croazia, emesso nel 300 anniversario della morte di Baglivi
Giorgio Baglivi descrisse dunque correttamente una parte del meccanismo dell’edema polmonare. E’ con lui che il quadro del Catarrhus Suffocativus fa finalmente il suo debutto quale malattia del sistema circolatorio. Sarà compito dei decenni successivi chiarire i rapporti di questa condizione col cuore. E’ ben vero che lo Studioso Raguseo non chiama in causa questo organo, ma l’accurata descrizione del quadro e della sua patogenesi consente a noi oggi di attribuire a lui la primitiva descrizione dell’insufficienza miocardica e dell’edema polmonare.Fig. 12 – La firma di Giorgio Baglivi
La pubblicazione di questo studio è supportata dal generoso contributo dell’Associazione Onlus “Gli Amici del Cuore” di Correggio.
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